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Per un pugno di cent

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Anno 2123, da qualche parte sul pianeta Terra, verosimilmente non lontano dal Circolo Polare Artico. Il destino di una comunità di umani si sta per compiere. A decidere della vita o della morte dei suoi membri sarà la data in cui la spaventosa ondata di calore estremo che invade quella porzione di mondo avrà termine. Quelle donne e quegli uomini sanno bene che gran parte delle terre emerse del pianeta sono già da tempo inabitate a causa degli sconvolgimenti climatici dispiegatisi nei precedenti 150 anni, ma non sanno di essere l’ultimo drappello di umani ad ereditare l’incredibile avventura della colonizzazione della Terra operata da Homo sapiens e a poterla tramandare ai loro discendenti.

Sempreché ci saranno dei discendenti, beninteso. Le scorte di cibo per la comunità sono ai minimi termini, e l’agognato prossimo raccolto di cereali andrà perduto se le temperature non scenderanno sensibilmente di lì a qualche settimana. La calura eccessiva e persistente sta seccando irrimediabilmente gli steli del grano, non avvezzi a quel clima ostile, prima ancora che le spighe arrivino a maturazione. Pochi giorni di caldo torrido in più o in meno faranno LA differenza. Perché la prossima semina si farà con una nuova varietà di frumento più resistente alle elevate temperature, selezionata e sviluppata negli anni precedenti grazie all’indomito ingegno umano e all’istinto di sopravvivenza. È tutto pronto, e le miracolose sementi sono già in magazzino. Una nuova varietà genetica per un possibile nuovo inizio tutto da inventare che lasci alle spalle il superamento dell’ultimo punto di non ritorno climatico. Ma se il raccolto dell’anno di grazia 2123 viene meno, non ci sarà più nessuno a mietere l’anno successivo. Gli ultimi occhi intelligenti spalancati sul Blue Marble potrebbero così chiudersi per sempre.

Autunno 2023, Italia. La premier Meloni è di fronte a un bivio. Dopo un’estate ancora più torrida e siccitosa della precedente, a cui sono seguiti eventi meteo catastrofici come mai era accaduto, la forte mobilitazione di piazza della galassia ecologista sembra poter finalmente imprimere una svolta alle politiche del governo in materia di transizione energetica, accelerando in modo significativo la decarbonizzazione dell’economia nazionale. L’ambizioso piano proposto dalle principali associazioni ambientaliste, che secondo i sondaggi è condiviso da circa il 50% dell’elettorato, potrà portare a una riduzione delle emissioni annuali di CO2 al 2030 pari a 200 milioni di tonnellate e anticipare al 2045 il raggiungimento della neutralità climatica. Visti i forti interessi contrastanti in gioco e un’opinione pubblica spaccata in due, la decisione del governo se accogliere il piano o meno è in balia degli umori altalenanti di chi siede nella stanza dei bottoni.

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Due storielle più o meno verosimili che si svolgono in luoghi e tempi molto diversi. Due vicende sospese, con esiti incerti. La domanda è: può l’esito della seconda influenzare l’esito della prima, che ha luogo un secolo più tardi? È tutt’altro che una questione di poco conto: sapere se la nostra specie sia in grado o meno di ripartire per una nuova avventura proprio quando è a un soffio dall’estinzione è un po’ come svelare il mistero sull’esistenza di Dio. Ma come può una decisione pur importante del governo italiano fra meno di un anno segnare lo spartiacque fra la fine di tutto e la risurrezione? No, non voglio proporre una riedizione del celebre Effetto farfalla (“si dice che un battito d’ali di una farfalla possa provocare un uragano nell’altra parte del mondo”). Non esattamente, almeno. Se stiamo ai numeri, il risparmio di diverse centinaia di milioni di tonnellate di CO2 emesse da un Paese tutto sommato marginale come l’Italia è ben poca cosa rispetto alle decine di gigatonnellate prodotte ogni anno in tutto il mondo. Ma non è zero. E se fosse proprio un pugno di centesimi di grado di aumento della temperatura a segnare LA differenza fra vita e la morte della nostra specie? E se la fine anticipata dell’ondata di calore che sta per segnare il destino dell’ultima colonia umana sul pianeta fosse determinata proprio da quel centesimo di grado di aumento in meno frutto delle scelte di domani del governo italiano?

Nel dibattito da bar dello sport sul cambiamento climatico uno degli argomenti più gettonati da chi tenta di giustificare l’inazione può riassumersi con la fortunata locuzione “e allora la Cina?”, ad indicare che senza l’impegno dei grandi inquinatori del pianeta gli sforzi del nostro Paese, e perfino quelli dell’Europa intera, risulteranno vani. Si tratta di una tesi subdola, che mette in campo una dose di verità per insinuare l’idea tossica che le sorti del pianeta si collochino al di là della nostra portata. È facile comprendere che se un tale virus si impadronisse del nostro cervello, la fine dell’umanità è segnata. Presto o tardi il clima fuori controllo tracimerà spinto da un suicida palleggio di responsabilità e marchierà con il sangue le vite di porzioni sempre più vaste di nazioni e continenti, fino ai titoli di coda di un film apocalittico le cui premesse sono all’opera già da diversi decenni.

Ed è proprio l’apocalisse l’altra parola chiave del mio ragionamento, materializzata non a caso nella scenetta distopica iniziale. Parlo dell’apocalisse evocata dalla scienza ma freudianamente rimossa da menti incapaci di imparare dai periodici collassi della storia dell’uomo né tantomeno dalle cinque estinzioni di massa che hanno preceduto quella non meno grave attualmente in corso. Un’apocalisse, si badi bene, che trova ampio spazio nel dibattito scientifico sugli scenari degli effetti della crisi climatica, come ben descritto in questa sintesi nelle pagine di climalteranti.it. Suona davvero beffardo registrare come gli scienziati, per non essere tacciati di catastrofismo, siano stati fino ad ora in qualche modo indotti a mettere in sordina gli allarmi su ciò che ci attende, quando invece le proiezioni formulate da numerosi ed autorevoli studi, combinandosi a mo’ di tempesta perfetta con gli altri rischi sistemici in atto, disegnano scenari che potremmo definire realisticamente catastrofisti.

Dovremmo quindi chiederci cosa accade quando l’apocalisse annunciata incontra le coscienze e dialoga con l’intelletto. In un precedente post, e poi ne I Gemelli del Cosmo, mi ero già cimentato in questo esercizio filosofico, soffermandomi però sulla responsabilità derivante dagli stili di vita individuali. Avevo scritto, e ne sono fermamente convinto anche oggi, che se ci si lascia guidare dall’etica, “l’idea di essere corresponsabili di un esito così definitivo [l’estinzione del genere umano] comporta un peso insopportabile sulle nostre anime” ed è dunque una molla poderosa per spingerci all’azione.

Oggi però avverto il bisogno di accantonare l’etica e ragionare di politica: sporcarsi le mani, mettersi in gioco con l’attivismo affinché l’Italia faccia tacere i frenatori della transizione ecologica e operi una svolta in direzione di un taglio sensibile delle emissioni climalteranti non è semplicemente agire perché il nostro paese faccia la propria parte nel consesso delle nazioni, ma rappresenta un impegno in cui cuore e ragione si amalgamano per scongiurare la più terrificante delle ipotesi che, anche se avesse solo l’un percento di probabilità di compiersi, segnerebbe la fine di tutto, ma proprio tutto.

Il messaggio che sento dunque di dover trasmettere è che nella titanica lotta contro la crisi climatica ogni decimo, anzi ogni centesimo di grado di aumento di temperatura in meno conta, soprattutto se conseguito oggi, perché nel ventaglio di scenari disegnati dalla scienza ogni centesimo di grado di differenza si amplifica a dismisura negli effetti che produce, schiudendo, pur nell’incertezza statistica, la prospettiva di immani sofferenze aggiuntive e probabilmente decine o centinaia di migliaia di morti in più, fra i quali potremmo perfino annoverare qualcuno dei nostri nipoti. Di più, ogni centesimo di grado in meno potrebbe finanche determinare il mancato superamento, per un soffio, di uno dei tipping points oltre i quali ogni sforzo sarà vano. E infine, nei momenti cruciali nella vita democratica di un paese come l’Italia, come quello che ho immaginato per il prossimo autunno, far sentire la propria voce può persino far pendere il piatto di una bilancia in bilico dalla parte giusta della storia.

E allora, se mettere il turbo alle energie rinnovabili nel nostro Paese grazie all’impegno politico attuabile concretamente a partire dai territori può ben valere un pugno di cent(esimi) risparmiati, e finanche, perché no, determinare la salvezza del genere umano, cosa aspettiamo a mobilitarci anima e corpo?


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